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Angkor: la leggendaria città dei templi
23 Gen 2017

Angkor: la leggendaria città dei templi

Post by Administrator

Nell’intricata giungla cambogiana sorgono le rovine della città di Angkor, una superficie di circa 100 Kmq ricolma di templi, santuari, case, strade, canali e terrazze. Al suo interno troneggia maestoso il più vasto edificio religioso del mondo, l’Angkor Wat, eretto in onore del dio Visnù nel corso del XII secolo d.C.

Rovine di Angkor

Rovine di Angkor

Nel 1860, il naturalista francese Henri Mouhot si avventurò nel cuore della giungla cambogiana per cercare conferma di numerose voci, secondo le quali, profondamente nascosti nella foresta, giacevano i resti di una città. Quelle voci furono diffuse per la prima volta da un suo compatriota, padre Charles-Emile Bouillevaux, che visitò quella stessa giungla nel 1850. Il missionario francese scrisse: “Rinvenni dei giganteschi ruderi che a quanto mi dissero erano quelli del palazzo reale. Sui muri scolpiti dalla base alla sommità vidi combattimenti fra elefanti, uomini che lottavano armati di lance e bastoni e altri che dai loro archi scoccavano tre frecce alla volta“. Furono tuttavia la descrizione e le ricerche di Mouhot nella metropoli in rovina di Angkor che dischiusero al mondo il passato della Cambogia e sollevarono molte domande sui suoi costruttori e abitanti.

La città di Angkor si estendeva su quasi 100 Km quadrati e traboccava di templi, santuari, case, strade rialzate, serbatoi, canali d’irrigazione e terrazze. Ritenuta da alcuni la più grande metropoli del mondo nel 1000 d.C., il disordinato aggregato urbano di Angkor, fatto di quadrati e linee rette, poteva accogliere circa mezzo milione di persone. Ovunque vi sono statue, rilievi e incisioni raffiguranti scene della mitologia indù, fanciulle che danzano a seno nudo, un re a dorso di elefante che regge uno scacciamosche e un parasole, un imperatore che conduce il suo esercito alla battaglia.

Angkor era abitata dai Khmer, che professavano una religione di evidente derivazione indù. Si ritiene che nelle loro vene scorresse molto sangue indiano, dato che mercanti, viaggiatori e missionari indiani erano giunti via mare su queste sponde nei primi secoli dopo Cristo per colonizzare il Sudest asiatico.

Nonostante nel 1000 a.C. il Sudest asiatico fosse già densamente popolato e tecnologicamente avanzato, i centri urbani non si svilupparono prima del VII secolo d.C. In quell’epoca, per qualche ragione che gli archeologi non sono ancora riusciti a individuare, fiorirono le città. In molti luoghi fecero la loro comparsa l’arte monumentale e l’architettura, in gran parte sotto l’influenza di Angkor.

I documenti khmer, scritti su pelli d’animale e foglie di palma, non hanno resistito alla prova del tempo. Notizie relative ad Angkor ci provengono invece da più di un migliaio di iscrizioni, appartenenti non solo alla storia sanscrita e khmer, ma anche a quella cinese, musulmana e indiana. Da esse veniamo informati che il fondatore del periodo cambogiano di Angkor fu Jayavarman II, che liberò il suo popolo dal giogo giavanese agli albori del IX secolo. Il re venerava il dio indù Shiva, e stabilì il culto del dio-re, nel senso che riteneva di possedere l’energia creatrice di Shiva. Ognuno dei suoi successori fece edificare un proprio tempio destinato ad accogliere il “linga“, il simbolo fallico dell’autorità regia. I santuari erano anche rappresentazioni simboliche del monte Meru, dimora indù degli dei e centro dell’universo.

Angkor Wat

Angkor Wat

Il più bel palazzo della metropoli khmer è l’Angkor Wat. Si tratta del tempio funerario di Suryavamam II, eretto dal sovrano agli inizi del XII secolo. Era dedicato a Visnù, e non a Shiva, e, a differenza di tutti gli altri santuari della regione, il suo ingresso principale si affacciava ad ovest, in direzione della terra dei morti. L’Angkor Wat, che è forse il più grande edificio religioso che sia mai stato costruito, ha all’interno un labirinto di corridoi dalle pareti ricoperte di elaborate sculture e incisioni.

Esteso su un’area di quasi 2,6 Km quadrati, il tempio è dotato di un gran numero di torri, la più alta supera i 61 metri, che si innalzano a forma di boccioli di loto. Questo santuario cosmico indù è disposto su una pianta formata da cinque cinte rettangolari concentriche. Per raggiungere il centro del tempio sotto la torre più alta, i fedeli dovevano oltrepassare una strada rialzata lunga 305 metri, i cui rilievi simboleggiavano la sacra storia indù. L’Angkor Wat era anche concepito e orientato in modo da fungere da osservatorio astronomico. Ad esempio, il tempio di Prasat Kuk Bangro, distante 5,6 Km a sud-est, durante il solstizio d’inverno è perfettamente allineato con quello di Angkor Wat.

L’ubicazione di Angkor presentava vari vantaggi che contribuirono alla sua fortuna. Innanzitutto, la terra su cui sorgeva era fertile e, se ben irrigata, poteva produrre tre o anche quattro raccolti di riso all’anno. In secondo luogo, il Tonle Sap, l’immenso, poco profondo, lago coperto di ninfee posto nelle vicinanze, era famoso per essere uno dei più pescosi del mondo. Terzo, le ricche foreste fornivano tutti i materiali necessari all’edilizia, e soprattutto lo spesso teak per i pavimenti dei templi e delle gallerie. Quarto, la geologia della zona offriva abbondanti riserve di arenaria, ferro, oro, argento, rame e stagno. Gli abitanti di Angkor costruirono lunghi canali d’irrigazione e due giganteschi serbatoi, ciascuno dei quali poteva immagazzinare quasi otto miliardi di litri d’acqua, utilizzati per irrigare i campi nei sei mesi senza piogge. In quel periodo dell’anno il Tonle Sap copriva un’area pari al Grande Lago Salato, ma durante la stagione dei monsoni si gonfiava fino ad assumere le dimensioni dell’Ontario.

L’abbandono improvviso di Angkor è uno dei più grandi misteri che circonda la città. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la dottrina della rinuncia insegnata dal nuovo Buddhismo Hinayana, alla fine del XIII secolo, abbia indebolito le ambizioni militari dei Khmer, che sarebbero divenuti pacifisti, non materialisti e altruisti. Quando, nel 1431, gli eserciti thai calarono su Angkor, la saccheggiarono dopo un assedio di sette mesi, incontrando resistenza solo fra le classi dominanti. Finita la dominazione thai, i Khmer non furono più in grado di restituire ad Angkor l’antica gloria.

La condizione di debolezza della monarchia, le ribellioni degli schiavi e la malaria furono altri fattori che contribuirono a minare il vigore nazionale. Forse ad essi si aggiunse anche un periodo di siccità o di monsoni troppo violenti che paralizzarono presumibilmente l’economia agricola della città. Una leggenda buddhista narra di un re che fece affogare nel Tonle Sap il figlio di un sacerdote perché aveva offeso la famiglia reale. Adirato, il dio-serpente provocò lo straripamento del lago, distruggendo Angkor. Ancora oggi, il Tonle Sap provoca drammatiche alluvioni quando il fiume Mekong è in piena. Si ritiene che, nel XV secolo, il lago fosse assai più vicino alla città, il che renderebbe l’antica leggenda una trasposizione allegorica di ciò che accadde in realtà.

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