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La colossale beffa dell’Uomo di Piltdown
16 Lug 2012

La colossale beffa dell’Uomo di Piltdown

Post by Administrator

Il ritrovamento dell’Uomo di Piltdown rappresenta una delle maggiori beffe perpetrate ai danni della comunità scientifica. La scoperta, avvenuta all’inizio del ventesimo secolo, illuse gli scienziati di aver trovato l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia.

Charles Dawson

Charles Dawson

Gli archeologi hanno il discutibile onore di aver subito la più grande beffa scientifica mai perpetrata: l’Uomo di Piltdown. Agli inizi del Novecento uno sconosciuto mise insieme un cranio umano, insolitamente spesso, con una mandibola di scimmia, li macchiò per dare loro una parvenza di antichità e li seppellì intelligentemente, insieme ai resti di animali preistorici, negli strati ghiaiosi di Piltdown, nella contea del Sussex, nell’Inghilterra meridionale.

Tra il 1908 ed il 1912 l’archeologo locale Charles Dawson iniziò, su suggerimento di alcuni operai, a scavare in quel terreno e trovò pezzi del cranio. Gli scavi sistematici a Piltdown iniziarono nel febbraio 1912, quando a Dawson si unirono Arthur Smith Woodward, curatore del reparto di geologia al Museo di Storia Naturale di Londra, e Pierre Teilhard de Chardin, un brillante e giovane scienziato gesuita, nonché cacciatore di fossili. Quasi immediatamente, venne scoperta la mandibola, che sorprendentemente combaciava alla perfezione con il cranio umano. I resti di animali fossili presenti nello strato ghiaioso suggerirono che l’Uomo di Piltdown era vissuto approssimativamente mezzo milione di anni prima.

La squadra di Piltdown annunciò di aver fatto una scoperta sensazionale: era niente di meno che “l’anello mancante tra la scimmia e l’uomo”, tanto a lungo cercato: Darwin era stato finalmente vendicato. I ritrovamenti di Piltdown acquisirono immediatamente fama mondiale e furono presentati come una delle prove principali nella difesa di John Scopes, un insegnante di scuola superiore che, nel 1925, fu processato a Dayton, nel Tennessee, per aver insegnato la teoria evoluzionistica.

La scoperta di Dawson entrò rapidamente nei libri di testo: era il più importante fossile umano mai rinvenuto e per circa quarant’anni influenzò la teoria delle origini dell’uomo. Si credette che l’Uomo di Piltdown, dotato di un cranio completamente sviluppato ma di una mandibola molto primitiva, dimostrasse che l’aumento delle dimensioni cerebrali fosse il fattore determinante dell’evoluzione umana.

Nel 1950, tuttavia, non essendo stati scoperti altri fossili nemmeno lontanamente simili a quelli di Piltdown, il Museo di Storia Naturale decise di riesaminare i reperti facendo emergere una sgradevole verità. Con orrore, gli esperti del museo scoprirono che i denti della mandibola erano stati limati per celarne l’identità. Test scientifici dimostrarono che l’Uomo di Piltdown non era così antico come si era creduto né era rimasto nello strato ghiaioso a lungo. Ulteriori studi stabilirono che la mandibola era quella di un orangutan e che, come il cranio, non aveva più di 600 anni.

I dubbi, tuttavia, sarebbero dovuti sorgere molto prima. Fino al 1915 si fecero nuovi ritrovamenti, incluso un frammento piatto di osso d’elefante a forma di mazza da cricket. Il burlone, chiunque fosse, sembrava avercelo infilato per indicare scherzosamente che le cose a Piltdown non erano esattamente come apparivano. L’identità del burlone di Piltdown ha scatenato la fantasia dei ricercatori fin dal primo momento in cui venne rivelata la frode.

Nessuno può ancora dire con sicurezza chi fu il responsabile, ma i tre sospettati più ovvi erano i partecipanti allo scavo: Dawson, Woodward e Teilhard de Chardin. Gran parte degli scienziati che esaminarono il caso esclusero Dawson: era un dilettante privo dell’esperienza tecnica per architettare una frode tanto plausibile. Woodward, dal canto suo, era universalmente considerato un credulone innocente, e il fatto che durante gli anni della pensione, dopo il 1930, abbia eseguito ulteriori scavi a Piltdown, per di più a sue spese, lo escluse dai sospetti. Rimaneva il gesuita Teilhard de Chardin, le cui conoscenze scientifiche lo rendevano, a detta di molti, il sospettato numero uno. Nonostante la sua lunga ricerca per conciliare l’evoluzionismo con la dottrina cristiana, egli scrisse pochissimo su Piltdown, il che venne interpretato quasi come una tacita confessione. D’altra parte, ciò potrebbe parimenti significare che era semplicemente sospettoso in merito all’autenticità dei ritrovamenti.

In mancanza di prove concrete contro i tre sospettati principali, la rete è stata gettata ancora più al largo, considerando un numero enorme di personaggi correlati a Piltdown. La figura più sorprendente a questo proposito è quella di Sir Arthur Conan Doyle, lo scrittore inglese famoso per aver creato Sherlock Holmes. Doyle viveva molto vicino al sito di Piltdown ed era molto interessato agli scavi, tanto che vi si recava di quando in quando per controllarne i progressi. Egli potrebbe aver disseminato la zona di reperti, avendo senza dubbio le nozioni scientifiche necessarie, in quanto medico; era inoltre un abile giocatore di cricket ed aveva un motivo particolare per far apparire sciocchi gli scienziati. Il suo vivo interesse per il paranormale lo aveva fatto abboccare ad alcune delle manifestazioni medianiche più dubbie del suo tempo, ed era stato meritatamente “bastonato” dagli scienziati per la sua ingenuità. Creando l’Uomo di Piltdown, Conan Doyle potrebbe essersi vendicato dell’istituzione scientifica.

Per quanto intrigante sia la teoria su Doyle, non esistono tuttavia prove concrete, e per perpetrare una beffa tanto elaborata, che riguardi scoperte fatte in almeno quindici occasioni diverse, Doyle sarebbe dovuto apparire assiduamente sul sito, o perlomeno avere un complice costantemente presente. La chiave di Piltdown risiede sicuramente nella natura delle scoperte stesse. Chiunque fosse il burlone, doveva essere comunque una figura associata ai ritrovamenti. Disseminare il sito con il materiale contraffatto, nella speranza che qualcuno un giorno l’avrebbe trovato, di certo non era una soluzione valida.

Woodward, per esempio, scavò per molti anni nella zona e non trovò assolutamente nulla. Concludendo, l’artefice dell’inganno doveva restare sul posto per assicurarsi che i falsi reperti fossero riportati alla luce. Solo una persona fu presente per tutto il tempo: Charles Dawson, che raccolse gran parte delle “prove” importanti con le sue mani. Il fatto che dopo la morte di Dawson, avvenuta nel 1916, a Piltdown non vennero più fatti ritrovamenti può essere difficilmente considerata una coincidenza.

Tra tutti i sospettati, Dawson era quello che avrebbe guadagnato di più. Quale dilettante, ricercava un riconoscimento accademico e la scoperta dell’anello mancante era sicuramente un modo ideale per elevare la sua posizione. Woodward effettivamente immortalò Dawson battezzando l’Uomo di Piltdown “Eoanthropus dawsoni“. E, sorprendentemente, molti scienziati impegnati nel caso non considerarono con la debita attenzione la pessima reputazione di Dawson. Questi sembra essere stato particolarmente tagliato per scoprire “reperti unici”, che decenni più tardi si rivelarono ambigui o falsi: una statuetta romana, spacciata per il primo esempio di fusione di ferro della Gran Bretagna, ma in realtà moderna; piastrelle romane del 400 d.C., commemoranti la ricostruzione del porto di Pevensey nel Sussex, che, invece, sono state scientificamente datate intorno al 1900; una mazza cerimoniale, attribuita alla Hastings medievale, e in realtà costruita nel diciannovesimo secolo, ed altri ancora. La lista delle mistificazioni operate da Dawson sembra infinita.

Tali fatti dimostrano chiaramente che Dawson era in grado di organizzare la frode. Inoltre, era sempre presente al momento giusto, e l’unica argomentazione che può essere portata a sua difesa, ossia la mancanza delle capacità necessarie per creare i reperti, sembra derivare semplicemente dalla riluttanza degli scienziati a credere di poter essere ingannati da un dilettante. Dawson era infatti un impostore esperto, forse quello che ebbe più successo nel ventesimo secolo.

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