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Un inspiegabile rinvenimento nella valle del Giordano
28 Ott 2019

Un inspiegabile rinvenimento nella valle del Giordano

Post by Administrator

Non sono rari i casi in cui archeologi e studiosi di varia natura si trovano di fronte a ritrovamenti di cui non riescono a fornire una spiegazione accettabile. Nel luglio del 1989, nella valle del Giordano, venne portata alla luce una tavola di legno finemente lavorata risalente a circa mezzo milione di anni fa. La sua origine e l’identità dei costruttori rimane un mistero inspiegabile.

Fiume Giordano

Fiume Giordano

Nell’afoso mese di luglio del 1989 l’archeologa israeliana Naama Goren-Inbar e i suoi colleghi diedero inizio a una serie di scavi nella parte settentrionale della valle del Giordano. Per la vicinanza del fiume, l’antichissimo sito, risalente a circa mezzo milione di anni fa, si trovava in una zona particolarmente paludosa. Ogni giorno, gli archeologi cominciavano a lavorare all’alba e si interrompevano, con loro grande sollievo, a mezzogiorno, quando il sole cancellava a poco a poco le ombre.

Durante gli scavi, dovevano tener conto anche del fattore sicurezza, perché il Giordano, in quegli anni di pace febbrile, era una zona di prima linea, e potevano sorgere problemi. Per prima cosa decisero di portare alla luce gli strati geologici e, con una scavatrice meccanica, aprirono lentamente due profonde trincee. Ogni secchio di terra portato in superficie veniva svuotato e il suo contenuto veniva esaminato alla ricerca di ossa o manufatti.

Un giorno, tra la meraviglia degli archeologi, venne rinvenuto il frammento di una tavola di legno finemente lavorata e levigata: una scoperta del genere non aveva precedenti. La tavola era in legno di salice, lunga quindici centimetri e larga dieci, estremamente piatta e liscia, levigata artificialmente e rifinita con tale maestria da non tradire la natura degli attrezzi usati. Uno dei bordi risultava perfettamente perpendicolare e smussato ad arte. Il rovescio dell’oggetto era leggermente convesso e il legno era stato lasciato grezzo. Entrambe le estremità erano spezzate, probabilmente a causa dell’estrazione meccanica degli strati di terra sovrastanti, ma gli altri pezzi non vennero mai ritrovati.

Secondo le attuali teorie archeologiche, non esisteva, 500.000 anni fa, nessun essere vivente, tanto meno nella valle del Giordano, a cui occorressero tavole di legno piatte e levigate. Qual era l’uso di un simile oggetto in un contesto dove bordi diritti e superfici piatte erano ancora sconosciuti? Gli uomini delle caverne non usavano certo né squadra né righello. Eppure il fatto che una tavola lavorata con notevole cura, impegno e abilità sia stata portata alla luce ci indica che nel periodo in cui è stata fabbricata aveva un utilizzo. Ma quale? La dottoressa Goren-Inbar, perplessa, non sapeva spiegarselo.

D’accordo con i colleghi, giunse alla conclusione che le capacità tecniche di quelle antichissime popolazioni erano state enormemente sottovalutate. Arrivò a sostenere la possibilità di altre nuove scoperte “non convenzionali”, che avrebbero potuto condurre a un’inevitabile revisione delle opinioni sul grado di specializzazione della comunità umana ai suoi albori.

Così la rassicurante immagine degli uomini delle caverne, rozzi e ignoranti, lontanissimi da noi non solo in termini di tempo, ma anche di intelligenza e abilità, corre il rischio di rivelarsi del tutto falsa. Quel reperto archeologico fornisce la prova concreta sia di un livello di specializzazione e capacità tecnica, sia di uno sviluppo sociale e intellettuale insospettabili; in altre parole, dimostra l’esistenza di qualcuno vissuto in quell’epoca remota che possedeva una mente capace di immaginare e di realizzare oggetti raffinati che noi associamo, di solito, a tempi più recenti.

Questa tavola così ben lavorata deve essere inserita in un contesto; sembra suggerire, con discrezione, ma con insistenza, la parola “cultura” a chi intenda ascoltare attentamente. Ma come è possibile parlare di una cultura degli uomini delle caverne? Sembrerebbe esserci una sola spiegazione, che gli archeologi non hanno proposto o per non averci pensato, o forse perché le sue implicazioni sono troppo azzardate. Questa tavola potrebbe essere un’intrusa, non in quanto appartenente a un periodo più tardo, ma nel senso culturale. È possibile che gli antichi abitanti di quella località nella valle del Giordano siano riusciti a venirne in possesso altrove, magari da un gruppo più progredito e tecnicamente più specializzato che l’aveva fabbricata e usata?

Può darsi che, con il tempo, l’esistenza di quel pezzo di legno ci costringerà, da sola, a riscrivere la nostra preistoria. Ma, sino ad allora, è probabile che questa scoperta straordinaria venga ignorata o, comunque, relegata nella marginalità, in modo da non costituire una minaccia per la ricostruzione ormai consolidata del nostro passato.

Dobbiamo affrontare la spiacevole verità che la storia può risolversi in pura e semplice statistica, che si può provare qualunque cosa e, ignorando i dati indesiderati, si può sostenere qualunque ricostruzione del passato, anche falsa. Si sono investite tali somme e sono coinvolte tante reputazioni in certe tesi riguardanti la preistoria umana, che si continua a sostenerle testardamente anche davanti al continuo accumularsi di prove contrarie, approfittando di ogni occasione per gridare più spesso e più forte di chi vi si oppone. Ciò, naturalmente, non aiuta a scoprire la verità.

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