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Celestino V: un eremita sul trono di Pietro
16 Lug 2018

Celestino V: un eremita sul trono di Pietro

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Le vicende che condussero Pietro da Morrone, umilissimo monaco eremita, ad essere eletto papa col nome di Celestino V sono profondamente legate alla credenza nelle profezie di Gioacchino da Fiore. La permanenza di Celestino V sul trono di Pietro ebbe breve durata e fu ostacolata da intrighi di potere da parte dei cardinali dell’epoca. 

Celestino V

Celestino V

Ventisette mesi dopo la morte di Niccolò IV, avvenuta il 4 aprile del 1292, una processione di cardinali, dignitari e relativi assistenti risaliva faticosamente il monte Morrone. Le rosse tuniche dei cardinali si stagliavano contro l’arido paesaggio roccioso degli Appennini abruzzesi. La processione si fermò davanti agli occhi increduli dei monaci che vivevano nel monastero (e futura prigione) di Santo Spirito, in realtà solo un cumulo di sassi appoggiati contro il fianco della montagna. Un luogo quanto mai tetro che veniva scelto da coloro che desideravano fuggire dalle tentazioni del mondo.

I cardinali chiesero di vedere Pietro da Morrone, l’abate del monastero. Uno dei monaci riuscì a schiarirsi la gola quasi paralizzata dai lunghi silenzi e dai digiuni, e spiegò che fratel Morrone aveva abbandonato il monastero e si era trasferito in una caverna della montagna che si trovava a quasi 1.700 metri di altezza. Ripresa la scalata, i prelati e i loro accompagnatori giunsero finalmente al termine del lungo ed estenuante viaggio che, dal conclave di Perugia, li aveva portati fin lassù per incontrarsi con gli occhi incavati e lo scarno volto del nuovo papa che, incredulo, li fissò da dietro le sbarre della sua cella.

Ci volle qualche minuto prima che il cardinale Pietro Colonna, capo della missione papale, riuscisse a riprendere fiato e ad abituarsi al fetore del Santo Padre. Un attimo dopo l’ottantacinquenne eremita vide il cardinale Colonna e gli altri membri della missione inginocchiarsi davanti a lui, ponendo così fine alla sua tranquilla vita da carcerato volontario. Dopo uno dei più lunghi e contrastati interregni della storia del papato, fu una profezia sulla Chiesa a portare il suo autore sul trono di Pietro.

La prolungata fase di stallo che aveva caratterizzato l’elezione del nuovo papa, nella primavera del 1294 sfociò in una situazione di caos e in veri e propri tumulti. Fu all’incirca in quel periodo che il cardinale latino Malabranca rivelò una profezia attribuita a Pietro da Morrone, secondo la quale la Chiesa sarebbe stata colpita dal castigo divino se non si fosse provveduto a nominare in fretta un nuovo pontefice. Ed era inteso che il prescelto doveva essere un uomo pio, umile e lontano da ogni debolezza mondana. Ancora una volta, in un momento di crisi le autorità ecclesiastiche cercavano la salvezza della Chiesa nelle profezie. Per ottenere una risposta andarono a rivedere le interpretazioni delle profezie di Gioacchino da Fiore, esattamente come era avvenuto oltre trent’anni prima. Quando il 1260 trascorse senza che comparisse all’orizzonte uno straccio di Apocalisse, gli scritti di Gioacchino furono messi in soffitta, salvo andarli a cercare in momenti di difficoltà come quello. Infatti le profezie di Gioacchino, o a lui attribuite, alimentavano un’aspettativa del XIII secolo ancora diffusa tra i cattolici moderni: sapremo che la fine del mondo e la redenzione della Chiesa sono vicine quando verranno eletti altri papi “angelici”. Grazie al fervore dei suoi discorsi e alla sua autorità di decano del conclave, il cardinale Malabranca riuscì a convincere prima i due terzi, poi l’intero collegio dei cardinali, della necessità di scegliere un papa che avesse uno spirito devoto ed elevato come quello del famoso eremita, guaritore e profeta che viveva sul monte Morrone.

Pur con grandi rimostranze, Pietro da Morrone accettò di fare un bagno e di indossare la mitra e gli abiti pontificali. Dopodiché, abbandonata la sua cella in cima alla montagna, l’ex eremita salì su un asinello condotto a mano dall’erede di Carlo D’Angiò, re Carlo II D’Angiò lo zoppo (1248-1309), e lasciò che lo portassero all’Aquila, dove fu consacrato papa con il nome di Celestino V.

Il pontificato di questo papa (papa angelico) si rivelò un disastro. Metaforicamente parlando, Carlo II non lasciò mai la cavezza dell’asinello. Infatti Celestino V venne condotto a Napoli e divenne il fantoccio di Carlo, accettando docilmente la nomina di dodici cardinali pro-angioini, di cui sette francesi.

Profezie a parte, ben presto fu chiaro che gli angeli non valevano molto come massime autorità ecclesiastiche. Celestino poteva anche essere un santo, ma era completamente ignorante quanto a politica e ne sapeva poco anche dei più semplici riti compiuti quotidianamente dai sacerdoti. Non solo, il suo latino era talmente orrendo che fu costretto a scrivere gli editti in volgare. Dopo quattro, catastrofici mesi, resosi conto del danno che stava arrecando alla sua amata Chiesa, Celestino si rinchiuse negli appartamenti pontifici, trasformandoli nella cella di un monaco.

L’ingenuo pontefice fu indotto ad abdicare al trono di Pietro dai consigli, offerti in modo non proprio ortodosso, dall’infido e ambizioso cardinale Benedetto Caetani. Celestino V chiese al cardinale, stimato esperto di diritto canonico, di trovargli una santa scappatoia che gli consentisse di tornare quanto prima al suo antico stile di vita e alla sua spoglia caverna sul monte Morrone. Caetani approfittando dell’oscurità, praticò un foro nella parete della cella del papa, inserendovi poi un tubo portavoce. Per diverse notti il papa eremita, sdraiato sul pavimento di pietra, venne svegliato da una voce che lo chiamava: “Celestino… Celestino… rinuncia alla tua carica. È un peso troppo grande per te“.

Il pontefice si convinse che lo Spirito Santo gli ordinasse di abdicare. Naturalmente obbedì subito alla volontà divina e, per combinazione, il suo posto venne occupato proprio dal cardinale Caetani, che scelse il nome di Bonifacio VIII. Il nuovo pontefice tenne segregato Celestino, rifiutandosi di accogliere la sua richiesta di poter tornare fra le aride rocce del monte Morrone. Bonifacio temeva infatti che, spinti dai suoi nemici, i seguaci delle profezie apocalittiche salissero nuovamente fino alla caverna sulla montagna e costringessero il precedente pontefice a lasciare la sua cella per mettersi a capo di uno scisma.

Alla fine Bonifacio riuscì a far rinchiudere lo sventurato Celestino nella torre di Castel Fumone, nei pressi di Ferentino. L’anziano eremita si rassegnò a vivere in quella prigione dicendo: “In vita mia non ho mai desiderato altro che una cella, ed una cella mi è stata data“. Sopravvisse per altri due anni in quelle condizioni e morì di stenti nel 1296. Venne canonizzato nel 1313.

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