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Don Bosco e le profezie sul destino della Chiesa
16 Ott 2012

Don Bosco e le profezie sul destino della Chiesa

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San Giovanni Bosco, meglio conosciuto come Don Bosco, lungo la sua vita ricevette numerose visioni profetiche molte delle quali riguardarono le sorti dell’Italia, della città di Roma e del Papato in particolare. Molte di esse concordano con le profezie e le terrificanti previsioni di numerosi altri veggenti e mistici del XIX e del XX secolo.   

San Giovanni Bosco

San Giovanni Bosco

Giovanni Melchiorre Bosco, nato a Castelnuovo D’Asti il 16 agosto del 1815, meglio noto come Don Bosco, fu il fondatore delle Congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco morì all’alba del 31 gennaio 1888 ed è attualmente sepolto nel Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino. Venne beatificato da Pio XI il 2 giugno 1929 che successivamente, il 1 aprile del 1934, lo dichiarò santo.

Nella vita di S. Giovanni Bosco sono narrati fatti che dimostrano come egli, fin da piccolo, fosse dotato di qualità eccezionali, un sesto senso sviluppato che gli faceva vedere e prevedere quello che gli altri ignoravano. Ma ben conoscendo come sia facile prendere abbagli in questo campo, egli argutamente diceva: “Non ritenetemi profeta finché tutto sia avverato“. Si attribuisce a Don Bosco la profezia lapidaria che con una sola espressione descrive la più tragica situazione: “I cavalli dei Cosacchi si abbevereranno alle fontane di S. Pietro“. Quelle di seguito riportate, sono le profezie contenute nella prima edizione, rarissima (G. B. Lemojne, “Memorie biografiche di Don Bosco”), sui tempi burrascosi che starebbe per attraversare il mondo, l’Italia ed il Papato, nei prossimi anni.

Prima profezia di Don Bosco

Fu scritta ed inviata al Papa Pio IX nel 1870. La vigilia dell’Epifania del 1870, Don Bosco ebbe in sogno una visione, di cui viene riportata la parte che si riferisce a Roma e all’Italia.

E tu, Italia, terra di benedizioni, chi ti ha immersa nella desolazione? Non dire i nemici; ma gli amici tuoi. Non odi che i tuoi figli domandano il pane della fede e non trovano chi loro lo spezzi? Che farò? Batterò i pastori, disperderò il gregge, affinché i sedenti sulla cattedra di Mosè cerchino buoni pascoli e il gregge docilmente ascolti e si nutrisca. Ma sopra il gregge e sopra i pastori peserà la mia mano; la carestia, la pestilenza, la guerra faranno sì che le madri dovranno piangere il sangue dei figli e dei martiri morti in terra nemica.

E, di te, o Roma, che sarà? Roma ingrata, Roma effeminata, Roma superba! Tu sei giunta a tale punto che non cerchi altro, né altro ammiri nel tuo Sovrano, se non il lusso, dimenticando che la tua e la sua gloria sta sul Golgota. Ora egli è vecchio, cadente, inerme, spogliato; tuttavia colla schiava parola fa tremare il mondo. Roma! Io verrò quattro volte a te!

Nella prima percoterò le tue terre e gli abitanti di esse. Nella seconda, porterò la strage e lo sterminio fino alle tue mura. Non apri ancora l’occhio? Verrò la terza, abbatterò le difese e i difensori e al comando del Padre sottentrerà il regno del terrore, dello spavento e della desolazione.

Ma i miei savi fuggono, la mia legge è tuttora calpestata, perciò verrà la quarta visita. Guai a te se la mia legge sarà ancora un nome vano per te! Succederanno prevaricazioni nei dotti e negli ignoranti. Il tuo sangue e il sangue dei tuoi figli laveranno le macchie che tu fai alla legge del tuo Dio.

La guerra, la peste, la fame sono i flagelli con cui verrà percossa la superbia e la malizia degli uomini. Dove sono, o ricchi, le vostre magnificenze, le vostre ville, i vostri palagi? Sono divenute la spazzatura delle piazze e delle strade!

Ma voi, o sacerdoti, perché non correte a piangere fra il vestibolo e l’altare, invocando la sospensione dei flagelli? Perché non prendete lo scudo della fede e non andate sopra i tetti, nelle case, nelle vie, nelle piazze, in ogni luogo anche inaccessibile, a portare il seme della mia parola? Ignorate che questa è la terribile spada a due tagli che abbatte i miei nemici e che rompe le ire di Dio e degli uomini? Queste cose dovranno inesorabilmente venire l’una dopo l’altra. Le cose succedonsi troppo lentamente.

Ma l’Augusta Regina del cielo è presente. La potenza del Signore è nelle sue mani; disperde come nebbia i suoi nemici.

Il venerando Vecchio riveste di tutti i suoi antichi abiti. Succederà ancora un violento uragano. L’iniquità è consumata, il peccato avrà fine e, prima che trascorreranno due pleniluni del mese dei fiori, l’iride di pace comparirà sulla terra.

Il gran Ministro vedrà la Sposa del suo Re vestita a festa. In tutto il mondo apparirà un sole così luminoso quale non fu mai dalle fiamme del Cenacolo ad oggi, né più si vedrà fino all’ultimo dei giorni.

Seconda profezia di Don Bosco (24 maggio – 24 giugno 1874)

Questa profezia sembra riguardare in dettaglio i nostri tempi (la notte oscura) e quelli futuri.

Era una notte oscura, gli uomini non potevano più discernere quale fosse la via da tenersi per far ritorno ai loro passi, quando apparve in cielo una splendidissima luce che rischiarava i passi dei viaggiatori come di mezzodì. In quel momento fu veduta una moltitudine di uomini, di donne, di vecchi, di fanciulli, di monaci, monache e sacerdoti, con alla testa il Pontefice, uscire dal Vaticano schierandosi in forma di processione.

Ma ecco un furioso temporale; oscurando alquanto quella luce sembrava ingaggiarsi una battaglia fra la luce e le tenebre. Intanto si giunse ad una piccola piazza coperta di morti e di feriti, di cui parecchi domandavano ad alta voce conforto.

Le fila della processione si diradarono assai. Dopo aver camminato per uno spazio che corrisponde a duecento levate di sole, ognuno si accorse che non erano più in Roma. Lo sgomento invase l’animo di tutti, ed ognuno si raccolse al Pontefice per tutelarne la persona ed assisterlo nei suoi bisogni.

Da quel momento furono veduti due angeli che, portando uno stendardo, l’andarono a portare al Pontefice dicendo: “Ricevi il vessillo di Colei che combatte e disperde i più forti popoli della terra. I tuoi nemici sono scomparsi; i tuoi figli colle lacrime e coi sospiri invocano il tuo ritorno”. Portando poi lo sguardo nello stendardo vedevasi scritto da una parte: “Regina sine labe concepta”; e dall’altra: “Auxilium cristianorum”.

Il Pontefice prese con gioia lo stendardo, ma rimirando il piccolo numero di quelli che erano rimasti intorno a sé divenne afflittissimo. I due angeli soggiunsero: va’ tosto a consolare i tuoi figli. Scrivi ai tuoi fratelli dispersi nelle varie parti del mondo, che è necessaria una riforma nei costumi e negli uomini. Ciò non si può ottenere se non spezzando ai popoli il pane della Divina parola. Catechizzate i fanciulli, predicate il distacco dalle cose della terra. E’ venuto il tempo, conchiusero i due angeli, che i popoli saranno evangelizzatori dei popoli. I leviti saranno cercati fra la zappa, la vanga ed il martello, affinché si compiano le parole di Davide: “Dio ha sollevato il povero dalla terra per collocarlo sul trono dei principi del suo popolo”.

Ciò udito il Pontefice si mosse, e le fila della processione cominciarono a ingrossarsi. Quando poi pose piede nella Santa Città si mise a piangere per la desolazione in cui erano i cittadini, di cui molti non erano più. Rientrato poi in San Pietro intonò il Te Deum, cui rispose un coro di angeli cantando: “Gloria in Excelsis Deo, et in Terra pax hominibus bonae voluntatis”. Terminato il canto, cessò affatto ogni oscurità e si manifestò un fulgidissimo sole.

Le città, i paesi, le campagne erano assai diminuite di popolazione; la terra era pesta come da un uragano, da un’acquazzone e dalla grandine, e le genti andavano una verso l’altra con animo commosso dicendo: Est Deus in Israel.

Dal cominciamento dell’esilio al canto del Te Deum, il sole si levò duecento volte. Tutto il tempo che passò per compiersi quelle cose corrispondono a quattrocento levate del sole.

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